Negli ultimi due anni della sua esistenza, sebbene il suo interesse si fosse spostato soprattutto sui problemi di metapsicologia e sociologia, Freud continuò a pubblicare un certo numero di contributi clinici. Qualcosa come 20 lavori e due libri rientrano in questa categoria, alcuni dei quali riguardano argomenti di tecnica, altri invece problemi teorici e, soprattutto, gli aspetti specifici dello sviluppo libidico. E' in questo ordine che li passeremo in rivista.
Il primo di questi lavori, sebbene pubblicato nel 1923, fu scritto nel 1922. È intitolato Considerazioni sulla teoria e la pratica dell' interpretazione dei sogni e rappresenta un utile contributo al problema dell'interpretazione dei sogni nel lavoro quotidiano, il contenuto del quale è già stato descritto nel II volume di quest'opera.
Gli altri tre lavori furono scritti da Freud negli ultimi anni della sua vita. Uno di essi è una breve nota di appena due pagine, sull'analisi di un lapsus calami che Freud aveva commesso nello scrivere ad un orefice le istruzioni per la confezione di un anello da regalare a Lou Andreas-Salomé come dono di compleanno. Il lapsus era banalissimo, ma l'analisi di esso dimostrò che non bisogna mai accontentarsi della prima e più superficiale interpretazione, perché anche il materiale più ovvio può esser connesso con catene di pensieri sorprendentemente complesse ed intrecciate nel modo più delicato.
Nel 1937 comparvero dei lavori impegnativi, il primo dei quali uscì in aprile. Il suo titolo è Analisi terminabile e analisi interminabile ed è forse per lo psicoanalista praticante il lavoro più utile che Freud abbia mai scritto. La sua profonda saggezza e la sua logicità sono tali da dimostrare che all'età di 81 anni Freud era ancora nel pieno possesso delle sue facoltà di ragionamento. Egli esordisce con alcune considerazioni sui numerosi tentativi fatti fino allora per rendere più brevi le analisi, che spiega con il fatto che in passato è stato sottovalutato sia il significato dei disturbi nevrotici che quello delle forze ad essi connesse. A questo punto egli descrive alcune delle esperienze da lui fatte usando l'espediente di stabilire in anticipo un termine all'analisi con il proposito di stimolare nel paziente il desiderio della guarigione, e sottolinea quanto siano scarse le indicazioni di tale metodo.
Tuttavia il principale tema di questo lavoro è rappresentato da altri problemi. Fino a che punto dovrebbe essere completata l'analisi? Quali sono le forze che si oppongono al raggiungimento del risultato ideale rappresentato da un'analisi completa? I tre fattori principali dai quali dipende il risultato dell'analisi sono: 1. l'importanza relativa delle cause traumatiche nell'eziologia del singolo caso, 2. la forza relativa degli impulsi costituzionali sia congeniti che fisiologicamente rinforzati, come ad esempio la pubertà, 3. le modificazioni che si verificano nell'Io nel corso dello sviluppo, vale a dire i vari meccanismi di difesa impiegati. Non c'è dubbio che il successo dell'analisi è maggiore quando il primo di questi tre fattori è prevalente. L'analisi riesce a vincere meglio l'azione dei fattori che agiscono da più lunga data piuttosto che le crisi acute del momento.
Freud si chiede quindi se sia possibile prevenire l'insorgenza di futuri disturbi nevrotici risolvendo quei conflitti istintuali che possono essere messi in evidenza ancor prima di determinare disturbi, e finisce col rispondere negativamente. Dopo avere esaurito la discussione dei vari modi possibili di trattare ostilmente il paziente in modo da provocare l'esplosione del conflitto latente, egli conclude che tali metodi avrebbero come unico risultato quello di compromettere il transfert positivo necessario ai fini terapeutici. Il metodo di indicare semplicemente l'esistenza dei conflitti su un piano intellettuale, poi, non avrebbe un risultato superiore a quello che hanno di solito le spiegazioni sessuali che si fanno ai bambini, tecnica di cui spesso viene esagerato il valore.
La parte più interessante del lavoro è forse quella concernente le modificazioni dell'Io, dove sono contenute molte idee che finora sono state sfruttate pienamente solo in parte. Freud osserva che la possibilità di una
completa guarigione può diventare un pericolo per le difese dalle quali l'Io ha fatto dipendere la sua sicurezza fin dall'infanzia, difese che perciò si oppongono al fine terapeutico. Egli si rivolge infine ai fattori costituzionali profondi, tra i quali quella particolare caratteristica da lui chiamata «adesività della libido» che, sebbene importantissimi, sono assai mal definibili.
Nell'ottobre dello stesso anno 1937 uscì un altro utile contributo pratico, Le costruzioni in analisi* A quanto pare lo spunto a questo lavoro fu fornito dalle critiche mosse al fatto che gli analisti ritengono corrette le loro interpretazioni sia quando il paziente le accetta che quando le rifiuta. Freud illustra quanto complessa sia in realtà la situazione, per passare poi a discutere ciò che l'analista dovrebbe dedurre dalla risposta del paziente alle sue interpretazioni. Egli si riferisce qui non tanto alle interpretazioni isolate quanto alle ricostruzioni di varie parti dell'infanzia del paziente. Un punto fermo è rappresentato dalla sua affermazione che quando un paziente rifiuta la verità di una data ricostruzione ciò significa che se la ricostruzione non è sbagliata è almeno incompleta. Invece il segno della correttezza di una ricostruzione si ha quando il paziente in fase di transfert negativo reagisce con un peggioramento dei sintomi. Le ricostruzioni e le interpretazioni analitiche non sono affermazioni dogmatiche ma ipotesi più o meno probabili che vengono emesse allo scopo di provocare le reazioni del paziente : è la natura di queste ultime che ha un significato.
Oltre ai vari capitoli dei due libri che Freud scrisse in quel periodo, cinque lavori furono da lui dedicati a questo argomento. Il primo, dal titolo Alcuni meccanismi nevrotici nella gelosìa, paranoia e omosessualità, fu scritto nel 1921 e pubblicato nell'anno successivo. Vi sono descritte le tre principali varietà di gelosia, definite da Freud come gelosia «normale», «proiettiva» e «paranoide». La prima dipende, secondo lui, in parte dal senso di perdita e in parte dalla ferita narcisistica. La seconda, come dice il nome, consiste in una proiezione di una infedeltà soggettiva rimossa. Quanto alla terza, Freud la mette in rapporto con l'omosessualità rimossa. L'intuizione del significato di quest'ultimo tipo di gelosia gli era venuta, dice, nell'analizzare il caso Schreber. Vari accenni a questo problema Freud già fece a proposito del primo paziente straniero che trattò dopo la guerra, ma vi sono evidenti riferimenti alla stessa idea anche in altri scritti precedenti, a dimostrare che egli ne ebbe dapprima una chiara intuizione, poi se ne dimenticò per imbattervisi di nuovo più tardi come in una rivelazione.
Nel 1924 Freud pubblicò due brevi lavori sulle differenze essenziali tra nevrosi e psicosi. Il primo comparve nel numero di gennaio della «Zeit-schrift» e s'intitolava Nevrosi e psicosi. Si tratta di un tentativo di riformulare le sue precedenti conclusioni sull'argomento alla luce delle idee più recenti contenute nel libro L'Io e l'Es. Ora Freud le riassume così: le psiconevrosi rappresentano il risultato di un conflitto fra l'Io e l'Es ; le nevrosi narcisistiche, come la melancolia, di un conflitto tra l'Io e il super-Io, e le psicosi di un conflitto fra l'Io e il mondo esterno. Il secondo lavoro, che uscì nel numero d'ottobre della «Zeitschrift», riguarda La perdita della realtà nelle nevrosi e nelle psicosi, ed è senz'altro più profondo e ragionato del precedente. Come Freud aveva già detto in quello, la distinzione fondamentale tra nevrosi e psicosi è la maggiore influenza del mondo esterno nelle prime e degli impulsi dell'Es nelle seconde. La perdita del senso di realtà è, sì, propria delle psicosi, ma si verifica anche nelle nevrosi sia pure in maniera differente e più secondaria. In entrambe le condizioni si possono ravvisare due fasi, cioè una fuga iniziale seguita in secondo tempo da sforzi di ricostruzione o di compromesso, ed entrambe le vicende possono essere descritte in ultima analisi nei termini di un conflitto tra le richieste del mondo esterno (o dei suoi rappresentanti interiori) e le richieste dell'Es.
Nelle nevrosi la fuga iniziale avviene nei confronti delle richieste dell'Es, cosicché quelle della realtà esterna possono proclamarsi vittoriose. Questo processo può avere buon esito a prezzo di un certo dispendio di energia e assicurare la salute psichica. Viceversa si instaura la nevrosi quando gli impulsi dell'Es si ribellano, ed allora si stabilisce un compromesso ed una certa porzione di realtà viene falsata. Nelle psicosi, invece, la vittoria arride agli impulsi dell'Es e si verifica la fuga nei riguardi di una porzione della realtà, che viene negata. Nella seconda fase della strutturazione psicotica una falsa realtà viene inventata (deliri, ecc.) in sostituzione di quella vera. Si può insomma dire che la nevrosi non arriva a negare l'esistenza della realtà, ma si limita ad ignorarla, mentre la psicosi la nega e cerca di sostituirla con qualche altra cosa.
Cade qui opportuno citare un altro lavoro, dal titolo Le resistenze alla psicoanalisi, che Freud scrisse per un periodico francese, «La Revue Juive», e pubblicò pure su «Imago» nel luglio 1925; esso è il quinto da lui stampato su di una rivista francese nel corso della sua lunga carriera. Freud paragona l'atteggiamento del mondo esterno a quello che i suoi primi pazienti avevano assunto nel venire a contatto con la psicoanalisi. In entrambi i casi la reazione iniziale era stata una reazione di paura all'idea che le barriere imposte agli impulsi sessuali proibiti una volta analizzate potessero crollare. L'opposizione alla psicoanalisi è dunque molto più emotiva che intellettuale.
Nello stesso numero di «Imago» comparve un breve articolo intitolato La negazione. Vi si considera innanzi tutto la notevole parte rappresentata dalle risposte negative nella pratica psicoanalitica. Dopo ciascuna interpretazione il paziente può negare l'esistenza di un'idea rimossa che fino a poco prima aveva ammesso nella coscienza. Per mezzo della negazione, uno degli scopi della rimozione - quello di escludere un'idea dalla coscienza -viene a mancare, ma il principale - quello di minimizzare il significato dell'idea stessa - è assicurato. Il proseguimento del lavoro può indurre il paziente a mutare la sua negazione in un'affermazione e ad accettare la verità dell'interpretazione proposta, oppure può accadere che egli accetti l'idea su un piano puramente intellettuale, senza partecipazione emotiva.
Partendo da queste premesse, Freud sviluppa alcune concezioni molto ingegnose sulla natura e sull'origine della facoltà di giudizio e del processo del pensiero. Egli fa risalire la prima alla distinzione che il neonato fa tra ciò che è piacevole (e quindi fa parte del suo «sé-piacere») e ciò che è spiacevole e quindi appartiene al mondo esterno. Più tardi sorge il problema di capire se un'idea è puramente soggettiva oppure corrisponde a qualcosa del mondo esterno, distinzione che non esiste nelle prime fasi della vita. Poiché la conoscenza del mondo esterno ci arriva integralmente attraverso gli organi dei sensi, il riconoscere se un'idea corrisponde a qualcosa nel mondo esterno è un po' come ritrovarla, anche se spesso in una forma modificata. Condizione a quanto sopra è che un oggetto che in epoche precedenti era stato fonte di gratificazione sia stato perduto. Il processo del pensiero - afferma Freud - è un'azione motoria abbreviata a basso costo d'energia, e la sua funzione è quella di chiarire se l'azione in parola è opportuna o no. Questo processo di «assaggio» era originariamente appannaggio delle aree sensoriali. Freud considera la percezione non come un processo passivo ma come un esame attivo del mondo esterno, un modo di «assaggiarlo», che in origine era stato proprio un assaggio in senso letterale, per mezzo della bocca.
Il contributo clinico di maggior valore che Freud produsse negli anni del dopoguerra fu però senz'altro il suo libro Inibizione, sintomo e angoscia. Si tratta essenzialmente di un esauriente studio dei vari problemi riguardanti l'angoscia, che deve la sua origine alla teoria di Rank sull'importanza del trauma della nascita e alle idee da essa suscitate. La maggior parte dell'interesse del libro sta nel fatto che esso permette di seguire gli sforzi fatti da Freud per chiarire i problemi aperti da Rank, la cui teoria lo aveva molto colpito. Del resto una frase scritta da lui stesso nel 1910 doveva essere stata il punto di partenza per le speculazioni di Rank : «La nascita è il primo di tutti i pericoli che la vita riserva, il prototipo di tutti i pericoli successivi che temiamo, e l'esperienza della nascita lascia dietro di sé il suo marchio su quella espressione emotiva che chiamiamo angoscia.»
Le idee di Freud sui rapporti intercorrenti fra angoscia e nascita hanno una strana storia. Egli racconta che era stata un'ostetrica a richiamarvi la sua attenzione durante il suo assistentato in ospedale nel 1884, poi per i 15 anni che seguirono non ne parlò più, preferendo anzi associare la genesi dell'angoscia al coitus interruptus. Nel 1908 scrisse una prefazione per un libro di Stekel trattando estesamente i rapporti fra angoscia e fantasie uterine, pur senza citare l'espressione «angoscia della nascita». L'anno successivo, a proposito delle stesse fantasie, aggiunse una nota alla seconda edizione della Interpretazione dei sogni, dicendo semplicemente che «l'atto della nascita è la prima esperienza angosciosa, e perciò è fonte e prototipo del sentimento dell'angoscia». Fu questa la sua prima allusione all'idea. Un altro anno dopo ampliò il suo punto di vista nel primo saggio sulla psicologia dell'amore.
Segue quindi un altro lungo intervallo fino alla dettagliata esposizione contenuta nelle Lezioni introduttive del 1917. Dopo una terza pausa l'idea riemerse ne L'Io e l'Es del 1923 finché poco dopo giunse l'esauriente discussione di tutto il problema, in Inibizione, sintomo e angoscia.
È un libro piuttosto discorsivo, lontano dall'abituale incisività di Freud, scritto evidentemente per se stesso, per chiarire le proprie idee piuttosto che per esporle ad altri. Freud non ne fu molto soddisfatto, ma il modo in cui indica la complessità di tanti problemi che erano stati trascurati si è dimostrato utilissimo per gli studiosi più seri, tanto più che molti dei problemi in questione sono tuttora insoluti.
La cautela di Freud, la sua assenza di dogmatismo, sono bene illustrate dalle frasi seguenti: «Donde viene la nevrosi? qual è il suo significato ultimo e specifico? Dopo diecine d'anni di lavoro psicoanalitico siamo più all'oscuro che mai in questo problema... È quasi umiliante«che dopo tanto lavorare, troviamo ancora tanta difficoltà nella comprensione dei fatti più importanti, però siamo decisi a non semplificare e a non nascondere nulla. Se non possiamo vedere chiaramente le cose, almeno vedremo chiaramente in che cosa consiste l'oscurità.»
L'opera è talmente ricca di idee suggestive e di ipotesi allettanti che non si può andare oltre un sommario accenno delle principali. Freud torna ad una delle sue prime concezioni, quella di «difesa», che per oltre vent'anni aveva sostituito con quella di «rimozione». Infatti ora considera la rimozione solo come una delle tante difese impiegate dall'Io. Alla parte preponderante che la rimozione svolge nell'isterismo, egli contrappone il ruolo che la «formazione reattiva», «l'isolamento» e il «dare per non fatto» (una forma di restituzione) svolgono nella nevrosi ossessiva. Le differenze che egli tratteggia tra queste due psiconevrosi sono chiarissime : per esempio nella prima le difese (rimozione) appartengono tipicamente al livello di sviluppo genitale, mentre nella seconda sono pregenitali.
Freud ammette di esser caduto in errore nell'affermare che l'angoscia morbosa è semplicemente libido trasformata, ed esamina il modo in cui è giunto a scoprirlo. Fin dal 1910 io avevo criticato questa concezione antibiologica ed avevo sostenuto che l'angoscia doveva derivare dall'Io stesso, ma Freud non aveva voluto ascoltarmi ed aveva cambiato opinione solo 16 anni più tardi quando si era occupato del problema per conto suo. Nel suo libro rimane ancora attaccato alla possibilità di una simile trasformazione nel caso delle «nevrosi attuali», condizioni che oggi consideriamo più come sindromi che come affezioni nevrotiche indipendenti. Sette anni dopo però scartò anche questa idea.
Egli affronta quindi la questione della natura del pericolo connesso con l'angoscia. La situazione dell'angoscia «reale» differisce da quella dell'angoscia morbosa in quanto la natura del pericolo è evidente nella prima, mentre è sconosciuta nella seconda. Nell'angoscia morbosa il pericolo può derivare dalla paura di impulsi dell'Es, da minacce del super-Io o da paura di punizioni provenienti dall'esterno, ma in ultima analisi nei maschi si tratta sempre di una paura di castrazione, mentre nelle femmine è più caratteristica la paura di non essere amate. Tuttavia Freud penetra ancora più profondamente nel problema quando distingue tra il vago senso di pericolo e la catastrofe vera e propria, che egli definisce come trauma. Questa ultima è una situazione d'impotenza nella quale il soggetto, se non è aiutato, non riesce a padroneggiare una stimolazione eccessiva. L'atto della nascita è il prototipo di tale situazione, ma Freud non è d'accordo con Rank che le successive crisi d'angoscia siano semplici ripetizioni della situazione e continui tentativi di abreagirla. Nella situazione traumatica tutte le barriere protettive sono superate, e ne deriva una impotenza piena di panico, secondo Freud inevitabile e infruttuosa al tempo stesso. La maggior parte delle angosce morbose sono invece funzionali, perché sono essenzialmente altrettanti segnali dell'approssimarsi di un pericolo che di solito può essere superato in vari modi. Tra questi modi vi è la rimozione, che Freud considera ora una conseguenza e non una causa dell'angoscia, come aveva fatto in passato.
Il preciso rapporto tra sintomi nevrotici e angoscia rappresenta un altro difficile problema. Nell'insieme Freud considera i sintomi come difese parziali destinate a deviare l'angoscia fornendo vie di scarico sostitutive agli impulsi temuti, però rimane un oscuro problema : in quali condizioni l'originaria situazione di pericolo rimane con tutta la sua potenza nell'inconscio? Per esempio, nella vita adulta si può rivivere una reazione alla paura di castrazione dell'infanzia come se si trattasse di un'evenienza imminente. A questa fissazione è legato l'enigma delle nevrosi. L'elemento economico della quantità è indubbiamente decisivo da questo punto di vista, ma Freud elenca tre fattori che lo influenzano notevolmente. Il primo, biologico, è rappresentato dall'immaturità dei piccoli dell'uomo, più notevole e prolungata rispetto a quella degli altri animali, con relativa maggiore dipendenza dalla madre, la cui assenza determina subito un'angoscia allarmante. Il secondo fattore, storico e filogenetico, Freud lo scorge nella strana particolarità dello sviluppo libidico umano, separato in due fasi dagli anni del periodo di latenza. Il terzo, psicologico, ha a che fare con la specifica organizzazione della mente umana e la sua differenziazione in Io ed Es. A causa di pericoli esterni (castrazione) l'Io è costretto a considerare certi impulsi istintuali come altrettante fonti di pericolo e può tollerarli solo a costo di subire varie deformazioni, di restringere la propria organizzazione e di accondiscendere alla formazione di sintomi nevrotici come sostituti parziali degli impulsi in questione.
Infine Freud solleva il problema dei rapporti dell'angoscia con il lutto e il dolore, dato che la perdita di un oggetto amato può condurre a ciascuna di queste tre risposte. Del lutto si era già estesamente occupato in precedenza, mentre del dolore fisico fornisce ora una spiegazione in termini di iperinvestimento narcisistico della zona lesa.
In un libro di sette anni dopo, le Nuove lezioni introduttive, Freud dedica parte di un capitolo all'argomento dell'angoscia senza però aggiungere gran che alla completa discussione di cui sopra.
Un ultimo, notevole ed esteso saggio, intitolato Sommario di psicoanalisi fu scritto da Freud nell'anno della sua morte e pubblicato postumo. È forse la migliore sintesi esistente della teoria psicoanalitica e contiene anche le ultimissime idee di Freud, come per esempio quella sulla scissione dell'Io. Non vuole essere una volgarizzazione bensì un sommario adatto agli intellettuali di ogni ambiente, ed è scritto in uno stile così solido, nervoso e lucido come nessun'altra delle opere di Freud. A 82 anni Freud non mostra la minima flessione delle sue capacità di pensiero e di esposizione.
Non appena si fu ripreso dai difficili anni della guerra, Freud scrisse due importanti lavori che abbiamo già esaminati nel II volume di quest'opera : Un bambino viene picchiato™ e Psicogenesi di un caso di omosessualità femminile
Si può inoltre ricordare un breve contributo del 1920, intitolato Una associazione di un bambino di 4 anni.3 Riguarda il caso di un simbolismo, spontaneamente riferito, che dimostra come un bambino possa risolvere l'interrogativo della nascita.
Nell'estate del 1922 scrisse due articoli sotto forma di voci di dizionario per un'enciclopedia tedesca che si sarebbe dovuta pubblicare l'anno seguente: Psicoanalisi e Teoria della libido. Nell'insieme rappresentano utili sommari, ma aggiungono ben poco alle precedenti pubblicazioni.
Nello stesso anno uscì pure un lavoro, breve ma importante, intitolato L'organizzazione genitale della libido nell'infanzia. Si tratta di un'appendice al libro sulla teoria sessuale che rettifica la contrapposizione che Freud vi aveva fatto tra la sessualità imperfetta del bambino e quella dell'adulto. Ora Freud sostiene invece che l'analogia tra le due condizioni è maggiore di quanto avesse prima pensato. Infatti, prescindendo dall'ovvia differenza dell'emissione di liquido seminale, la differenza tra lo sviluppo libidico di un bambino di cinque anni e quello di un adulto è una sola: per il primo non esiste altro organo genitale al di fuori del pene. Freud definisce «fallica» questa fase dello sviluppo ed esprime l'opinione che essa valga sia per l'uomo che per la donna. Egli discute poi le reazioni psichiche del bambino di fronte alla scoperta dell'assenza del pene nel sesso opposto, la sua associazione con la paura di castrazione, la repulsione verso la donna, ecc. Secondo lui a quell'età né maschi né femmine credono all'esistenza di due organi genitali distinti, maschile e femminile : per loro la gente si divide semplicemente in coloro che possiedono il pene e in coloro che non lo possiedono, ed è quindi presumibile che questi ultimi l'abbiano perduto. Freud sostiene ancora recisamente che all'età in questione nessun bambino ha ancora scoperto l'esistenza di un organo femminile. Malgrado la realtà delle osservazioni cliniche sulle quali si basano tali conclusioni di Freud, egli generalizza forse in modo troppo assoluto, ed infatti ricerche successive le hanno modificate per taluni aspetti. Freud sottolinea che la principale caratteristica di quell'età è, specialmente nei maschi, la misura nella quale l'interesse per il pene stimola la curiosità sessuale, però non prende sufficientemente in considerazione la tendenza penetrativa dell'organo e la sua ricerca, quasi fisica, di una parte complementare.
Nell'anno successivo, il 1924, Freud pubblicò uno studio sul masochismo intitolato Il problema economico del masochismo, molto acuto e ricco di conclusioni teoriche. Esso rovescia parecchie precedenti idee di Freud: per esempio, mentre egli aveva sempre considerato il principio piacere-dolore come una manifestazione della «tendenza alla stabilità» di Fechner, in quanto l'aumento di tensione si traduce in sofferenza e la diminuzione in piacere, ora egli ammette che, stando alla sola esperienza dell'eccitamento sessuale, la correlazione è solo parziale. Qualche altro fattore, per esempio il ritmo, deve svolgere un ruolo essenziale. Il principio della stabilità deve invece essere strettamente connesso con l'istinto di morte che egli aveva postulato di recente, e il principio piacere-sofferenza derivare dall'intervento dell'istinto di vita, detto Eros o libido.
Freud distingue quindi tre forme di masochismo: quello erotogeno, quello femminile e quello morale. I primi due si spiegano in modo analogo. Freud li aveva sempre considerati secondari al sadismo, come una ritorsione di esso sull'Io, e continua a pensare che questo meccanismo sia tuttora valido, pur usando il termine «masochismo secondario» per distinguerlo dal masochismo primario. Quest'ultimo è dovuto, secondo lui, alla diretta azione sull'Io dell'istinto di morte che non è stato interamente diretto all'esterno in forma aggressiva o distruttiva. L'idea di un masochismo del tutto primario è nuova e non è stata ancora pienamente accettata dagli psicoanalisti.
La terza forma di masochismo, quello morale, differisce dalle altre due in quanto non assume aspetti chiaramente erotici e non è in particolare rapporto con le persone, è la sofferenza o l'autopunizione che lo caratterizza, indipendentemente da chi le infligge, sia esso il fato o un essere umano. Freud lo fa risalire a un inconscio sentimento di colpa e ritiene che una definizione più adatta ad indicarlo sia «bisogno di punizione». Questo bisogno svolge un ruolo importantissimo nella vita sociale e rappresenta forse uno dei problemi più difficili da risolvere nel corso dell'analisi.
Nello stesso anno Freud ci lasciò ancora una volta di stucco, in quanto modificò con «La risoluzione del complesso di Edipo»44 una delle sue idee basilari. In questo lavoro egli prende dapprima in esame i vari fattori che portano alla risoluzione del complesso durante il periodo di latenza - frustrazione e delusione, evoluzione predestinata, ecc. - e conclude che per i maschi il più importante è la paura di castrazione. Per le femmine, invece, il desiderio originario del pene si trasforma in desiderio di un bambino, ed è la delusione per il rifiuto del padre a soddisfare questo desiderio che determina l'evoluzione del complesso di Edipo. Il sostituto di questo complesso è il super-Io che deriva dalle varie identificazioni con i genitori. Tutto ciò realizza un processo di rimozione, ma mentre finora Freud aveva sostenuto che la rimozione tiene semplicemente a freno gli impulsi proibiti nell'inconscio ma non vieta loro di svolgervi varie attività, ora egli descrive ulteriori fasi del processo affermando che i desideri edipici non vengono semplicemente rimossi ma realmente distrutti ed annullati. È vero che egli definisce «ideale» questa soluzione del complesso, volendo significare che raramente essa è così completa, ma è comunque una novità sentire che secondo lui un qualsiasi impulso inconscio può andare incontro ad una simile evoluzione, che certo non si osserva mai nella pratica analitica.
L'anno seguente Freud espresse, in via ipotetica, alcune conclusioni che secondo lui si sarebbero dimostrate importanti, qualora ulteriori osservazioni le avessero confermate. Esse sono contenute in un lavoro dal titolo Alcune conseguenze psicologiche della distinzione anatomica dei sessi. Riguardo alla scoperta della differenza anatomica da parte del bambino, Freud non ha gran che di nuovo da aggiungere, però sottolinea il fatto che il significato di tale scoperta diviene evidente quando insorgono le prime paure di castrazione in rapporto con il complesso di Edipo. La parte principale del lavoro è invece dedicata alle reazioni della bambina alla stessa scoperta. Dapprima essa nega la differenza continuando ad illudersi di possedere anch'essa un pene, oppure alimentando la speranza di poterlo possedere in futuro, e secondo Freud questo originario desiderio del pene spiega perché le donne sono più predisposte degli uomini alla gelosia. Altre due importanti differenze nello sviluppo della donna rispetto a quello dell'uomo sono le seguenti : essa ha una maggiore avversione alla masturbazione, ed il rapporto che la scoperta della differenza anatomica fra i sessi ha per lei con il complesso di Edipo è esattamente l'inverso di quello che si ha per l'uomo. Per il bambino la paura della castrazione pone fine al complesso di Edipo, mentre per la bambina è proprio l'idea di essere castrata che la fa spostare da sua madre a suo padre. Il suo attaccamento per il padre non è però cosi semplice come quello del bambino per sua madre, ma è secondario al desiderio di avere un bambino al posto del pene mancante. Ne consegue che la impossibilità di vedere soddisfatti i desideri edipici non è così totale come per il maschio. Corrispondentemente, la trasformazione di tali desideri in super-Io non va così lontana come nel bambino, ed è perciò che in generale il super-Io femminile è meno severo e inesorabile di quello maschile. Si ritiene spesso che le donne nelle loro decisioni siano più personali ed emotive degli uomini, che sono più legati dai loro princìpi morali, e anche che le donne accettino con maggiore difficoltà le inevitabili frustrazioni imposte dalla natura.
Freud ammette di esser giunto a queste conclusioni attraverso lo studio di pochi casi, ma pensa che possano dimostrarsi di una certa entità, ove fossero confermate su casistiche più larghe. Bisogna comunque tener conto delle enormi differenze individuali che esistono indipendentemente dal sesso, come pure della coesistenza, in ciascuno, di elementi maschili e femminili.
Due anni dopo, nel 1927, uscì un lavoro breve ma molto utile sul feticismo. Freud vi esamina più a fondo un'affermazione che aveva brevemente riportato 17 anni prima nel suo libro su Leonardo, cioè che ogni feticcio sessuale rappresenta un sostituto del pene. Non si tratta tuttavia di un pene qualunque, ma solo di quello che da bambini si era attribuito alla propria madre. Il feticismo rappresenta quindi una reazione alla paura di castrazione, tanto spesso connessa alla scoperta dell'assenza del pene nella femmina, ed è sempre accompagnato da una tendenza ad evitare la regione genitale della donna. Non sappiamo perché questa situazione iniziale, probabilmente invariabile, porta in certi casi al feticismo, in altri all'omosessualità e in altri ancora ad uno sviluppo più normale. La scelta di un feticcio particolare è ovviamente determinata da esperienze individuali, delle quali Freud cita parecchi esempi interessanti.
Questo argomento implica un'altra questione di interesse teorico. Freud era da poco giunto, a suo stesso dire per via puramente speculativa, ad una conclusione sulla differenza essenziale fra nevrosi e psicosi,48 mentre ora riporta due esempi di feticismo tratti dalla sua pratica clinica che sembrano contraddire esplicitamente la sua precedente affermazione della negazione della realtà come carattere distintivo delle psicosi. In entrambi questi casi di nevrosi, infatti, i pazienti si erano rifiutati di credere alla morte del proprio padre (uno dei due aveva nove anni quando essa si era verificata). L'analisi aveva però mostrato che questa negazione era solo parziale: solo una parte della mente aveva accettato la notizia, mentre l'altra l'aveva negata. In una psicosi, invece, il rifiuto sarebbe stato completo.
La stessa ambivalenza si verifica spesso nella strutturazione di un feticcio che può contenere contemporaneamente Hdea che la madre abbia ancora un pene e l'idea che il padre l'abbia castrata. Per finire Freud avanza l'interessante ipotesi che per l'uomo normale ciò che corrisponde a un feticcio è il proprio pene.
Nel 1931 uscirono due importanti lavori, entrambi sul numero di ottobre della «Zeitschrift». Il primo era intitolato Tipi libidici. Poiché l'enorme varietà degli esseri umani può essere raggruppata in vari modi secondo classificazioni fisiche o psichiche, Freud tenta una classificazione basata sulle caratteristiche libidiche, distinguendo tre tipi principali : l'erotico, il narcisistico e l'ossessivo. Il primo è proprio di coloro per i quali la vita amorosa costituisce l'interesse più forte, e il desiderio di essere amati la caratteristica più saliente. Nel secondo tipo, narcisistico, il desiderio di amare è più forte del bisogno di essere amati, ma entrambi sono subordinati all'autoconser-vazione ed all'autoaffermazione. Nei soggetti di questo tipo non v'è tensione fra l'Io ed il super-Io, il quale può essere assai poco sviluppato. Sono di solito individui sicuri di sé, che assumono spesso atteggiamenti di comando. Essendo capaci di notevole aggressività, possono riuscire utili all'ambiente sociale che li circonda in quanto lo stimolano, oppure danneggiarlo con la loro crudeltà. I tipi ossessivi, invece, sono caratterizzati dal dominio del super-Io, per cui essi temono la loro coscienza più di quanto temano il pericolo di non essere amati. Sono indipendenti e rappresentano l'aspetto conservatore della società.
S'incontrano molto più spesso i tipi intermedi, che sono di osservazione abituale nella pratica analitica. Così, per esempio, nel tipo erotico-ossessivo l'attività del super-Io limita l'espressione delle tendenze erotiche : i soggetti di questo tipo hanno risentito più di altri l'influsso dei loro genitori e maestri, e quello dell'autorità nella vita adulta. Il tipo erotico-narcisistico sembra il più frequente di tutti : in esso l'attività e l'aggressività sono strettamente collegate alla dominanza del narcisismo. Il narcisistico-ossessivo, infine, è per Freud il più valido dal punto di vista culturale : l'indipendenza dal mondo circostante insieme al rispetto per i dettami della coscienza assicurano un respiro sufficientemente largo per la libera attività, mentre il forte Io non si lascia dominare dal super-Io.
Quanto alla natura di un eventuale tipo erotico-ossessivo-narcisistico, Freud dice che esso rappresenterebbe l'armonia ideale del tipo cosiddetto normale, che in realtà non esiste.
Il secondo lavoro, La sessualità femminile, lungo venti pagine, fu scritto in gran parte per soddisfare l'interesse che i vari analisti inglesi e tedeschi avevano recentemente rivolto all'argomento. Sebbene, stando allo stesso Freud, esso non contenga alcuna idea che non fosse già espressa nella letteratura psicoanalitica, rappresenta un altro esempio del tipico, chiarissimo modo di Freud di riassumere le sue esperienze e le sue conclusioni. La principale novità è forse l'importanza che Freud riserva alla durata ed intensità dell'originario attaccamento della bambina per la madre, che secondo lui era stato fino allora sottovalutato. Esso ha un ruolo sia in psicopatologia (per esempio nella paranoia femminile) che in psicologia normale. Un esempio in quest'ultimo campo, relativo alla vita coniugale, consiste nel trasferimento sul marito di tale attaccamento per la madre: il marito può così ereditare sia le particolari richieste che la moglie rivolgeva alla propria madre (di essere «coccolata»), sia l'ostilità propria di quella fase precoce.
Freud sostiene che in tale fase l'attaccamento della bambina per la madre è prevalentemente attivo. Anche la sua passione per le bambole, negli anni successivi, contiene tracce di questo attaccamento che si evidenziano nel comportamento attivo verso le bambole, che possono rappresentare non solo un figlio, ma anche la madre della bambina. Successivamente il padre prende il posto della madre come oggetto d'amore e questo cambiamento, che al bambino maschio è risparmiato, significa non solo una sostituzione, ma anche una vera e propria diversità di atteggiamento, che da attivo diventa passivo.
L'idea della castrazione, cioè la scoperta delle differenze anatomiche fra i due sessi, può sfociare in tre caratteristiche linee di sviluppo. Il trauma della scoperta e il corrispondente senso d'inferiorità può determinare una rinuncia alla sessualità in blocco, con fatali conseguenze per la vita adulta. Oppure la convinzione del possesso di un pene, o il desiderio di esso, può essere ostinatamente conservata e portare a un «complesso di virilità» permanente o all'omosessualità, che si accompagna, di solito, ad una insistente masturbazione. La terza possibilità è costituita dal normale orientamento verso il padre e dalla formazione del complesso di Edipo.
Freud esamina quindi le varie fonti dell'ostilità verso la madre in questa fase iniziale dello sviluppo libidico della bambina. Tale ostilità si verifica invariabilmente ed è soltanto rinforzata dalla più tardiva rivalità propria della vera fase edipica, la quale è lungi dall'esserne la sola causa. Tra queste fonti vi sono le inevitabili frustrazioni della vita infantile, come pure l'ambivalenza normale in tale fase dello sviluppo. Della massima importanza è il risentimento della bambina per il fatto che sua madre l'ha messa al mondo con attributi inferiori a quelli del maschio. Quando poi le nasce un fratellino, la bambina può alimentare la fantasia di averlo creato insieme a sua madre, finché non scopre il ruolo svolto dal padre.
Poiché io non condividevo completamente alcune di queste conclusioni, ne seguì una lunga discussione con Freud, sia per lettera che per mezzo di pubblicazioni, ma con tutto ciò parecchi dei punti controversi rimangono tuttora insoluti.
Due anni dopo, nel 1933, Freud dedicò un capitolo delle Nuove lezioni introduttive all'argomento della femminilità.52 È un capitolo che si legge molto volentieri per lo stile invitante, amichevole e candido con cui è scritto, ma che contiene veramente poco di nuovo. Freud vi si dimostra piuttosto scettico circa le sensazioni vaginali nell'infanzia, riferite da alcuni analisti, ed osserva che, a parte la difficoltà di distinguerle da altre sensazioni a punto di partenza vicino, non possono avere eccessiva importanza. Quanto alla polemica sulla fase fallica delle bambine, egli si schiera decisamente in favore dell'idea che l'origine preedipica di essa sia più importante di qualunque regressione legata alle delusioni inerenti alla fase edipica vera e propria.
Freud apporta anche un contributo di interesse storico al racconto delle sue difficoltà iniziali con le fantasie di seduzione delle sue prime pazienti isteriche. Si ricorderà che la tecnica analitica aveva sistematicamente messo Freud davanti ai racconti di seduzioni che tali pazienti avevano subito dai loro padri nel corso dell'infanzia, e che dopo un certo tempo egli si era accorto che si trattava di tipiche fantasie connesse con la fase edipica.54 Ebbene, ora egli sottolineava che l'origine remota di tali fantasie sta nel rapporto tra bambina e madre, e che esse hanno un certo aggancio con la realtà in quanto risalgono ad eccitazioni indotte dalla madre durante i lavaggi della regione genitale.
Freud tocca anche il problema dell'eventuale esistenza di differenti tipi di libido, come per esempio libido maschile e femminile, probabilmente basati su differenze di ordine chimico, ma finisce con il rispondere negativamente e quindi osserva come non vi sia alcun motivo per parlare di «libido femminile».